23/07/2022
Gn 18, 20-21. 23-32; Sal 137; Col 2, 12-14; Lc 11, 1-13
24 Luglio 2022
La Liturgia della Parola di questa XVII Domenica del Tempo Ordinario ci parla del tema della preghiera. La domanda che risuona sulle labbra dei discepoli, che vedono Gesù in un luogo appartato a pregare, è: “Signore insegnaci a pregare”. Questa invocazione costituisce anche per noi l’interrogativo o forse meglio l’atteggiamento interiore con cui siamo chiamati a celebrare questa Eucarestia.
Alla richiesta dei discepoli Gesù risponde con una piccola catechesi suddivisibile in tre parti. Dapprima consegna il Padre Nostro (vv. 2-4), poi racconta una breve parabola (vv. 5-8), infine dona un insegnamento sulla efficacia della preghiera (vv. 9-13). Se la prima e la terza parte hanno dei paralleli nella tradizione sinottica, la parabola centrale è invece propria di Luca e rivela la prospettiva specifica con cui il terzo Vangelo comprende il mistero della preghiera. La preghiera del Padre Nostro, che Luca e Matteo ci hanno trasmesso in due versioni, è breve ed essenziale. Quella di Luca è costituita da due domande: la santificazione del nome e la venuta del regno. Seguono poi tre richieste riguardo a ciò che è veramente necessario al discepolo: il dono del pane di cui si ha bisogno ogni giorno, la remissione dei peccati e la liberazione dalla tentazione.
Fermiamoci sui versetti della parabola e la sua applicazione. La parabola, riportata solo da Luca, presenta la preghiera di domanda come preghiera insistente, perseverante, che non viene meno ma che mostra davanti a Dio una determinazione e una assiduità. Gesù coinvolge gli ascoltatori partendo da un interrogativo: “chi di voi …?”
“Chi tra di voi, se ha un amico e va a casa sua a mezzanotte e gli dice: «amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli», e lo sente rispondere dall’interno: «non mi importunare, la porta è già chiusa, io e miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani», vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quante gliene occorrono”. È una parabola semplice, dal contenuto chiaro ed esemplare, che vuole mostrare come l’insistenza di una domanda provochi la risposta anche da parte di chi, pur essendo amico, sulle prime non è disposto ad esaudirla, ma proprio l’insistenza anche noiosa dell’altro, e non l’amicizia in sé, causa l’esaudimento e il dono conseguente. Un amico importuno con la sua richiesta ostinata genera un cambiamento nell’amico importunato. Gesù, partendo da questa realtà della vita, commenta: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”.
È chiaro che Gesù anche se non usa espressamente il verbo “pregare” è evidente che si riferisce sempre alla modalità orante in risposta alla domanda iniziale del discepolo. In sintesi Gesù esorta a non avere paura a chiedere a Dio che è Padre, a chiedere con semplicità e con perseveranza sicuri di essere esauditi da Lui che è Padre che ama. Si tratta, allora, di cercare con la convinzione che c’è qualcosa che vale la pena di essere cercato anche faticosamente, ma è altrettanto necessario essere certi che prima o poi si avrà la risposta attesa. È anche chiaro che Dio non ha bisogno della nostra preghiera perseverante ed insistente, ma siamo noi ad averne bisogno per imprimerla bene nelle fibre della nostra mente, del nostro cuore e del nostro corpo, per aumentare il nostro desiderio e per dire a noi stessi la nostra speranza. Gesù a questa parabola e al suo primo commento aggiunge un'altra applicazione molto breve in forma interrogativa: “Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione?”
Se questo non avviene tra un padre e un figlio che hanno un legame di sangue, a maggior ragione, dice Gesù se questo non avviene tra voi che siete cattivi e sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre che è nei cieli darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono “Ma in questo brano c’è una precisazione importante e decisiva a proposito della preghiera. Luca si discosta dalla versione di queste parole di Gesù fornita da Matteo, perché sente il bisogno di chiarirle e di spiegarle. Sì, è vero che Dio ci esaudisce con cose buone (cfr. Mt 7,11), ma queste non sempre sono quelle da noi giudicate buone. La preghiera non è magia, non è un “affaticare gli dèi” – come scriveva il filosofo pagano Lucrezio (La natura delle cose IV,1239) – o uno stordire Dio a forza di parole moltiplicate, dice altrove Gesù (cfr. Mt 6,7-8). Dio non è a nostra disposizione per esaudire i nostri desideri, spesso egoisti ma soprattutto ignoranti, in senso letterale: non sappiamo ciò che vogliamo! Ecco perché – precisa la versione lucana – “le cose buone” sono in realtà “lo Spirito santo”. Sempre Dio ci dà lo Spirito santo, se glielo chiediamo nella preghiera, e lo Spirito che scende nella nostra mente e nel nostro cuore, lui che si unisce al nostro spirito (cfr. Rm 8,16), è la risposta di Dio. Ma è bene fare un esempio, a costo di essere brutali. Se io, affetto da una grave malattia, chiedo a Dio la guarigione, non è detto che questa si verifichi effettivamente, ma posso essere certo che Dio mi darà lo Spirito santo, forza e amore per vivere la malattia in un cammino in cui continuare ad amare e ad accettare che gli altri mi amino. Questo è l’esaudimento vero e autentico, questo è ciò di cui abbiamo veramente bisogno!” (E. Bianchi)
“Veni ergo Domine Iesu…
Ad me veni, quaere me, inveni me,
suscipe me, porta me”
“Vieni dunque, Signore Gesù
Vieni a me, cercami, trovami,
prendimi in braccio, portami”
(sant’Ambrogio, Expositio in psalmum II 8)
Buona Domenica.
✠ Francesco Savino